Ritratto, quando si tratta di commission

Ritratto, quando si tratta di commission

In questo articolo approfondiamo il tema della fotografia di ritratto.

Parliamo di un campo molto vasto e vario, ma in questo contesto mi piacerebbe porre attenzione al lavoro su commissione, quindi dove non abbiamo carta bianca, ma dobbiamo rispettare i desideri del committente.

Che si tratti di figura intera, di mezzo busto, di primo piano o di 3/4 americano, il soggetto che andiamo a ritrarre deve trasmettere e/o comunicare un messaggio. E come tutti i messaggi degni di nota, non basta buttare qualche frase in rima per fare una poesia.

Nel caso del ritratto formale, quello che dobbiamo comunicare è la personalità e la professionalità di chi abbiamo davanti: il manager, l’imprenditore, il politico, il medico, l’attore, il cantante.

Prima di essere un professionista, ognuno è un essere umano e, come tale, un unicum che va saputo valorizzare. È indispensabile raccontare anche le qualità della persona ritratta: d’altro canto, professione e professionista sono due facce di una stessa medaglia.

Questa dualità si evidenzia in particolare in tutte quelle professioni dove è necessario vestire una divisa.

Quando vediamo una persona in camice, automaticamente pensiamo al medico, ma non valutiamo la persona che c’è dentro al quel camice. Solo dopo, quando lo conosciamo, iniziamo a vedere l’essere umano che abbiamo davanti.

In fotografia il compito si complica: la foto non parla e non può dirmi chi si nasconde dietro un ritratto.

Quindi cosa bisognerebbe fare?

Prima di tutto, bisogna capire insieme al cliente quale sarà l’utilizzo finale della/e foto, capire se ha ben chiaro cosa vuole che vedano le persone che lo vedranno ritratto.

È fondamentale approfondirlo col cliente prima di averlo davanti alla macchina fotografica.

Personalmente, preparo un progetto per ogni soggetto che devo ritrarre.

Le persone che ritraggo non devono semplicemente piacersi, ma devono riconoscersi come persone e professionisti in quello scatto.

 

 

 

Nel caso del ritratto “pubblicitario”, ossia tutti quei ritratti in cui la modella o il modello sono lo “strumento” attraverso cui si comunica un messaggio pubblicitario, entrano in gioco molti più elementi: il modello/a, il prodotto da pubblicizzare, il cliente a cui è rivolto quel prodotto, il payoff, insomma tanti pezzi di un puzzle che devono incastrarsi alla perfezione.

Però c’è un elemento che non cambia mai, qualunque sia il prodotto: l’esigenza e il gusto del committente. Non dimentichiamoci che chi ci ha commissionato il lavoro si aspetta sempre un determinato risultato, che a volte può non coincidere con il nostro gusto.

Con questo non intendo dire che si debbano fare lavori distanti anni luce dal nostro modo di fotografare, né tanto meno andare contro la nostra etica, ma quando si prepara e si presenta il progetto al cliente, prima di iniziare uno shooting, capita di doversi adattare.

Si tratta di trovare la soluzione giusta perché il messaggio pubblicitario funzioni al meglio.

C’è poi il caso in cui chi ci commissiona il lavoro non è poi cosi preparato, magari semplicemente perché non si è mai fatto fotografare o non ha presenti le dinamiche della fotografia pubblicitaria.

In questo caso dobbiamo essere noi a dare un’idea al cliente a proposito di cos’è un ritratto ben fatto e di com’è il nostro modo di realizzarlo.

Credo che in un’epoca in cui con due filtri sul telefono o due colpi di Photoshop si pensa di portare a casa un lavoro ben fatto, sia importante ricordarsi che quando il cliente non è preparato è un dovere etico non far passare l’acqua per il vino!

Questo è il mio modo di presentare un professionista!

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